Nota dell'autore
Strange fruit hanging from the poplar trees.
(Abel Meeropol, Strange Fruit)
Una vita in meno è la narrazione di un’esistenza mancata, perché priva di passato. Per chi è orfano, il passato fa sempre paura, è “un buco nero alla spalle che ti rincorre ovunque vai”, dal quale non puoi scappare. Per superare il terrore occorre affrontare quel vuoto e gettarci lo sguardo dentro. Una vita in meno segue il doloroso cammino di un talentuoso trombettista di origini mediorientali, Matteo, verso la scoperta di se stesso, tanto “potente” sul palco quanto fragile nella vita privata. Una fragilità dovuta proprio alla mancanza di quelle fondamenta culturali sopra le quali poggiare i piedi e che un presente e una società in violento cambiamento colpiscono senza pietà. Matteo, nonostante il suo riconoscimento sociale, è quello che potremmo definire un “nuovo nigger”, un intruso in terra straniera. L’Italia, protagonista della sua prima vera esperienza di ondata migratoria, inizia a manifestare un sempre più crescente timore del diverso, che trova riscontro non solo nelle vicende e nelle cronache di piazza, ma anche nei provvedimenti legislativi e fra le pagine dei programmi politici. La musica jazz diviene, alla luce di quanto detto, un ulteriore personaggio, acquista un significato preciso. È la musica “nera” per eccellenza, è lo strumento espressivo di riscatto sociale e di riconoscimento culturale per intere generazioni di musicisti di colore e, di rimando, dell’intera comunità afroamiericana. Sotto questo punto di vista, Una vita in meno è una sceneggiatura che coglie con grande lucidità intellettuale il vero spirito della musica jazz, riuscendo ad attualizzarlo e, cosa ancora più importante, a universalizzarlo: l’integrazione conquistata (o ancora da conquistare) non è solo cosa americana, insomma, e non riguarda solo i neri d’America. Il razzismo e l’intolleranza non hanno confini né di tempo né di spazio.
La complessità e ricchezza della sceneggiatura si ritrova, però, anche nella descrizione degli altri personaggi che ruotano intorno a Matteo, tutti con psicologie ben definite e approfondite, che portano avanti tematiche altrettanto affascinanti. Con sguardo obiettivo si analizzano gli aspetti più evidenti di una società disillusa e scoraggiata da anni di cattivo governo, e quelli più privati che riguardano la sfera delle relazioni umane come il fallimento, il senso di colpa, la solitudine, l’amore. Pur non potendo che definirla un dramma, Una vita in meno è una vicenda che non ha pause, ed è ricca di accadimenti che la rendono avvincente. Dall’altro lato è anche piena di simbologie e momenti di grande intensità dove la musica dovrà avere una grande importanza. Anche se Matteo l’abbandonerà lentamente, così come il suo strumento, fino alla “regressione” più profonda che lo porterà ad ascoltare lo stesso disco che faceva suonare la madre adottiva quando lui era piccolo, il jazz, e le variazioni sul tema, non abbandoneranno mai le immagini.
Una canzone, in particolare, sarà la base sonora del film: Strange Fruit. Alla fine della storia risuonerà da un vecchio giradischi con la voce inconfondibile della grande Billie Holiday, ma per tutto il cammino che Matteo affronterà nella vicenda, essa dovrà essere interpretata in maniera personale da vari musicisti da scegliere nel panorama della musica sia jazz che pop/rock. La scelta di questo pezzo, ovviamente, non è casuale. Quegli strani frutti appesi, descritti nella canzone, i “negri” impiccati ai rami degli alberi, sono i simboli di quelle esistenze che, per decisione di qualcuno, non hanno mai avuto molto valore. Ieri come oggi, finché il mondo non sarà concepito come unico e di tutti, l’esistenza di molti uomini e donne potrebbe essere solo Una vita in meno.
Un fondamentale e insostituibile aiuto nella stesura del soggetto mi è stato amichevolmente fornito da Dario Becci, scrittore e poeta sopraffino, la cui sensibilità, e profonda conoscenza dell’animo umano, mi è stata più volte indispensabile per sbrogliare intrigati nodi narrativi e scegliere la giusta strada da percorrere.
Le nostre numerose e lunghe discussioni in merito, oltre ad aver stimolato la mia ispirazione, sono state l’occasione per un esercizio culturale irripetibile.